A 30 anni esatti dal disastro nucleare di Chernobyl, la Regione Emilia-Romagna e l’Assemblea Legislativa, nella mattinata di martedì 26 aprile, hanno organizzato un seminario che è servito a fare il punto sulle politiche di supporto alle associazioni – tra le quali le firmatarie del protocollo associazioni firmatarie del “Progetto regionale Chernobyl” – che si sono occupate dell’organizzazione dei soggiorni temporanei di bambini provenienti dalle zone di Bielorussia e Ucraina, ospitati sia presso famiglie emiliano-romagnole, sia in strutture collettive.
A distanza di tre decenni dalla catastrofe che provocò la fuoriuscita di materiale radioattivo dal reattore che ricadde su vaste aree intorno alla centrale, contaminandole, e che ebbe conseguenze anche in altre aree dell’Europa orientale, della Scandinavia, dell’Europa centrale fino al Nord America, la centrale nucleare di Chernobyl continua a rappresentare un problema aperto. Ancora oggi gli effetti della contaminazione pesano su chi abita in Bielorussia e Ucraina. Soprattutto sui bambini che vivono in zone ad alta radioattività. Quei bambini che, nell’età dello sviluppo, sono i più esposti agli effetti delle sostanze radioattive che possono provocare gravi malattie, spesso tumorali.
L’Emilia-Romagna già dagli anni Novanta si è attivata per accogliere minori di 14 anni provenienti dalle zone più coinvolte dal disastro nucleare. Dal 1986 sono stati complessivamente 11.434 i bambini e le bambine ai quali, oltre all’accoglienza che è a carico delle Associazioni regionali di solidarietà, il servizio sanitario regionale garantisce accertamenti sanitari non eseguibili nei loro Paesi di origine: visite mediche specialistiche e controlli diagnostici adeguati di patologie conseguenti all’esposizione alle radiazioni o al contatto con sostanze contaminate, oltre a visite pediatriche ed ecografie tiroidee a scopo di prevenzione. Il progetto Chernobyl prevede, inoltre, che contestualmente all’accoglienza dei minori in Emilia-Romagna si realizzino anche interventi di cooperazione nelle loro zone di provenienza, soprattutto in Bielorussia.