La crisi sanitaria, come noto, ha portato con se quella economica e sociale.
E le donne, in questo quadro, sono le più colpite.
Se prima della pandemia l’Emilia-Romagna in tema di occupazione e retribuzione femminile presentava trend in linea con quelli delle più avanzate regioni d’Europa, ben al di sopra della media del resto d’Italia, ora non possiamo che constatare quanto la realtà sia peggiorata.
Il Rapporto della Regione Emilia-Romagna “Emergenza Covid: l’impatto sulle donne e le azioni promosse dalla Regione Emilia-Romagna” (che potete trovare a questo LINK) analizza l’impatto di genere delle politiche regionali attuate nel periodo della pandemia.
Ma partiamo da alcuni dei dati emersi.
In Emilia-Romagna le donne lavorano fuori casa in media 5 ore di più di quanto accade nel resto del paese, ma pur sempre in misura inferiore rispetto agli uomini: 25 contro 36 ore settimanali. Mentre il lavoro di cura e domestico continua a restare in misura sostanziale sulle loro spalle: 23 contro le 7,38 ore maschili, un dato non troppo diverso da quello registrato nel resto del Paese (26 ore contro 7).
Una disomogeneità dei carichi di lavoro messa in evidenza in questi mesi anche della distribuzione dello smart working. A fronte di un incremento del 23% di quello maschile, è cresciuto del 58% quello femminile per far fronte alla chiusura di scuole e servizi per l’infanzia.
La solida rete di servizi di conciliazione, il forte investimento nell’istruzione e nella formazione professionale, gli interventi e servizi per l’infanzia, le persone anziane e disabili non autosufficienti e l’impegno comune verso un’occupazione piena e di qualità. Questi pilastri hanno portato nel corso degli anni a risultati importanti, ma non hanno risparmiato alle donne emiliano-romagnole di pagare il prezzo più alto della pandemia.
Sono cresciute le violenze domestiche, ma anche sul fronte occupazionale, le disparità tra i generi balzano agli occhi.
Per tutto il 2020 si sono verificate ripetute flessioni congiunturali dell’occupazione con un legame diretto con le misure di contenimento dell’epidemia. Gli effetti più importanti si sono manifestati tra marzo e giugno 2020 – con oltre 37mila posizioni dipendenti perse, di cui oltre 22mila femminili, pari al 60%.
La riapertura delle attività ha comportato una ripresa dell’occupazione nel terzo trimestre con un recupero del 53,7% delle posizioni di lavoro dipendente perdute nel periodo precedente, peraltro in misura più favorevole proprio per le donne (+ 14 mila) che per gli uomini (+ 5mila).
Ma non abbastanza. L’analisi per genere in alcuni settori continua infatti a indicare ancora una maggiore penalizzazione della componente femminile dell’occupazione: su 100 posizioni perse nel settore ‘Commercio, alberghi e ristoranti’ 55 riguardano donne, quota che sale a 81 posizioni femminili perse ogni 100 negli ‘altri servizi’.