Forse è la prossimità con l’8 marzo, che celebra la donna e la sua capacità di autodeterminarsi, forse è la mancanza di argomenti in un momento in cui il Paese sta distogliendo lo sguardo dalla propaganda salviniana, ma tant’è che anche oggi in Emilia-Romagna c’è chi tenta di mettere in discussione l’utilizzo della pillola abortiva RU486.
Con un’interrogazione presentata dai consiglieri Montevecchi, Pelloni, Catellani e Stragliati – peraltro spiace constatare che siano giovani consiglieri e consigliere a firmarla, che evidentemente non comprendono che la salute delle donne è fortemente legata ai diritti conquistati da tante prima di noi e che non devono diventare terreno di propaganda politica – la Lega in viale Aldo Moro chiede alla Regione di non distribuire la pillola abortiva in consultori e day hospital, in netto contrasto con le linee guida del Ministero della Salute.
Potrei ribattere semplicemente che è impossibile, richiamando quanto già contenuto nella Legge 194 sull’interruzione di gravidanza, ovvero che questa possa essere praticata negli ospedali ma anche nei poliambulatori pubblici. Ma viene da chiedere anche ai consiglieri leghisti se la loro proposta innovativa sia quella di tornare alla situazione antecedente la legge del 1978. Sarebbe proprio un bel balzo indietro.
Ma preoccupa di più che i consiglieri leghisti non comprendano che dove la sanità e le procedure che garantiscono il diritto all’interruzione di gravidanza in sicurezza non siano presenti o facilmente accessibili, le donne hanno due scelte: spostarsi verso altre regioni o affidarsi a mani non sicure. Come rappresentanti eletti dai cittadini, indipendentemente dal partito di appartenenza, penso che dobbiamo tutti avere a cuore la salute delle nostre concittadine. Agendo quindi per consentire loro di poter ricorrere alle misure più sicure, senza penalizzarle in alcun modo.